In un primo momento il datore di lavoro era chiamato a incentivare la fruizione da parte dei dipendenti di ferie e permessi e a sospendere le attività di reparti non indispensabili alla produzione.
Ora, alla vigilia della ripartenza, in quei settori in cui non sia possibile ricorrere a modalità di lavoro agile, egli è chiamato ad adottare tutte le misure di informazione, le cautele e le precauzioni sanitarie necessarie a garantire il diritto alla salute dei lavoratori sia sul luogo di lavoro, sia in ogni altro luogo ove si svolge l’attività lavorativa.
L’assetto normativo attualmente in vigore (art. 2087 c.c. ed il D.Lgs. n. 81/2008), applicabile a “tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio” (art. 3, co. 1, D.Lgs. 81/2008), impone al datore di lavoro di compiere valutazioni e decisioni connesse ad ogni prestazione che ciascun lavoratore è tenuto a svolgere in azienda, con il rischio di incorrere in responsabilità anche di rilievo penale nel caso in cui si dovessero verificare criticità.
Ne discende una responsabilità del datore di lavoro per qualsivoglia rischio, non solo legato strettamente all’attività lavorativa, ma anche all’intero compimento della stessa e indipendentemente dal luogo in cui essa venga posta in essere, sia entro i confini dell’azienda sia in ogni spazio idoneo ad ospitare almeno un posto di lavoro o accessibile al lavoratore nell’ambito della propria mansione (cfr. Cass. Penale, 05.10.2017, n. 45808). Ne consegue che il datore di lavoro dovrà mantenere la chiusura dell’azienda in caso di impossibilità a garantire ai lavoratori un livello di sicurezza adeguato nel sito dove si svolge l’attività d’impresa.
Per supportare il datore di lavoro nell’individuazione dei rischi “ragionevolmente prevedibili”, è stato adottato lo scorso 14.03.2020, successivamente integrato il 24.04.2020, il Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure anti-contagio negli ambienti di lavoro, firmato dal Governo e dal Presidente di Confindustria, volto a “coniugare la prosecuzione delle attività produttive con la garanzia di condizioni di salubrità e sicurezza degli ambienti di lavoro e delle modalità lavorative”, che ha fornito importanti indicazioni sia dal punto di vista igienico-sanitario sia sul piano organizzativo. Protocollo, la cui mancata attuazione, determina la sospensione dell’attività fino al ripristino di adeguati livelli di protezione e sicurezza. Al citato documento si affiancano il Protocollo cantieri e il Protocollo trasporti e logistica adottati dal Ministero delle Infrastrutture in data 24.04.2020.
Il datore di lavoro, quindi, è titolare dell’obbligo giuridico di impedire che chiunque entri, lavoratore o soggetto terzo, in contatto con l’ambiente lavorativo contragga il Covid-19. Le norme antinfortunistiche, infatti, sono dettate a tutela non solo dei lavoratori nell’esercizio della loro attività, ma anche dei terzi che vengono a trovarsi in azienda indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di lavoro.
Se dalla lettura del testo dell’art. 29, co. 3, D.Lgs. 81/2008 non sembra esservi in capo al datore di lavoro l’obbligo di rielaborare il Documento di Valutazione dei Rischi, si evidenzia qui il suo carattere dinamico e la sua funzione di informazione al lavoratore ogniqualvolta intervenga un rischio nuovo rispetto a quelli originariamente previsti. Ne consegue che il datore di lavoro dovrebbe essere indotto ad aggiornare il documento in relazione al rischio Covid-19.
Esso, per liberarsi quindi da ogni forma di responsabilità dovrebbe dimostrare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di avere adottato ogni cautela necessaria per impedire il verificarsi del danno medesimo.
Il contagio da Covid-19 determina un potenziale profilo di responsabilità penale per il datore di lavoro. Oltre alle contravvenzioni previste dal D.Lgs. n. 81/2008, in conformità ai principi normativi dettati in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, in caso di contagio da Covid-19 vi è la possibilità che il datore di lavoro possa essere considerato penalmente responsabile per i delitti di lesioni personali gravi/gravissime (art. 590 c.p.) o di omicidio colposo (art. 589 c.p.), con possibili implicazioni anche sotto il profilo della responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del D.Lgs. 231/2001, se applicabile.
Invero, nelle imprese aventi forma societaria, con riferimento a tali reati commessi dal datore di lavoro, dal rappresentante dell’impresa, o da altro soggetto sottoposto alla direzione di questi, nell’interesse o a vantaggio della società, alla responsabilità personale del datore di lavoro viene a sommarsi la responsabilità amministrativa da reato dell’ente.
Si precisa che una responsabilità penale del datore di lavoro si potrebbe configurare sempre che risulti provato che il contagio sia avvenuto nel luogo di lavoro (e non presso il proprio domicilio o in altro luogo frequentato dal dipendente e che non sia conseguenza di altre patologie cliniche) e che sia conseguenza della mancata adozione di misure di prevenzione e di tutela del lavoratore, così per sua colpa specifica. Pertanto, i predetti reati potranno essere concretamente contestati al datore di lavoro solo in presenza delle seguenti condizioni:
- che il contagio sia avvenuto all’interno dell’ambiente di lavoro o, comunque, in ogni spazio ove sia ospitato almeno un posto di lavoro o sia accessibile al lavoratore;
- che si tratti di un rischio ragionevolmente prevedibile, individuabile con la diligenza richiesta al datore di lavoro;
- che vi sia stata una violazione delle norme dettate a tutela della salute e sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 81/2008 e normativa emergenziale);
- che sussista un nesso di causalità tra l’evento dannoso (malattia o morte) e la violazione della normativa.
Sarà, quindi, arduo dimostrare che le lesioni o la morte, siano dovute, con ragionevole certezza, da un’infezione da Covid-19 avvenuta negli spazi di lavoro e non al di fuori di essi.
Infine, si potrebbe eventualmente configurare una responsabilità a titolo di dolo eventuale (quale accettazione del rischio di un contagio) qualora il datore di lavoro richiedesse il rientro dei lavoratori nella consapevolezza di non aver adottato un livello di sicurezza aziendale conforme agli standard richiesti dall’emergenza Covid-19.
Da ultimo, per quelle imprese che, nel rispetto del dettato normativo, non hanno mai interrotto lo svolgimento della propria attività, si ritiene che, in sede di valutazione della condotta del datore di lavoro, si possa tenere in considerazione lo stato di confusione che ha caratterizzato la prima fase dell’emergenza e la difficoltà nel reperire adeguati dispositivi di protezione individuale.